Una cattedrale in Sri Lanka diventa rifugio per gli sfollati dopo in ciclone: un esempio di umanità che riguarda un’intera popolazione.
Le piogge hanno colpito duro. Strade interrotte, case invase dall’acqua, linee elettriche a singhiozzo. Nella provincia nord-occidentale dello Sri Lanka, il ritmo quotidiano si è fermato all’improvviso. La priorità è diventata semplice e urgente: riparo, acqua potabile, cure di base. Le organizzazioni caritative hanno risposto subito. La rete locale di Caritas ha attivato volontari, ha mappato i bisogni, ha consegnato cibo pronto e kit igienici dove era possibile raggiungere i villaggi. Al momento non ci sono dati consolidati e verificabili sul numero degli sfollati in quest’area: gli aggiornamenti ufficiali arrivano a fasi, perché l’accesso ad alcune zone resta complesso.

In questo mosaico di emergenza si è inserita una voce chiara. «Siamo tutti uniti davanti a questo disastro», dice monsignor Wimal Jayasuriya, che segue da vicino gli interventi della Chiesa. La frase non è uno slogan. È il riassunto di scene viste sul campo: giovani che caricano sacchi di riso su camion, donne che organizzano cucine comunitarie, medici che prestano visite gratuite nei cortili delle scuole.
Cattolici, buddhisti, hindu e musulmani lavorano fianco a fianco, senza etichette. L’onda lunga del dolore ha creato un’onda di aiuto
Più avanti, quando le acque hanno iniziato a ritirarsi, un edificio simbolo ha spalancato le porte e ha trasformato le navate in una casa provvisoria. La cattedrale di Chilaw è diventata un rifugio sicuro per famiglie con bambini e anziani. I volontari hanno posato stuoie sul pavimento, hanno allestito un angolo per le mamme con neonati, hanno acceso generatori per mantenere in funzione ventilatori e frigoriferi dei farmaci. Un gruppo di monaci buddhisti ha portato coperte. I responsabili del vicino tempio hindu hanno coordinato il trasporto di pasti caldi. Giovani della comunità musulmana hanno aiutato nella distribuzione dell’acqua. Questa è vera solidarietà interreligiosa: semplice, concreta, necessaria.

La Chiesa ha fatto da ponte con la rete di Caritas e con le autorità sanitarie locali. Le parrocchie hanno segnalato le persone più fragili. I team hanno verificato le priorità: medicinali, pannolini, prodotti per l’acqua sicura. In parallelo, i tecnici monitorano il meteo per valutare nuove alluvioni e pianificare i rientri nelle case.
Non è solo una storia di emergenza. È un promemoria su cosa può fare una comunità quando abbatte i muri dell’abitudine. Oggi la cattedrale di Chilaw è un tetto per chi non ne ha uno; domani, potrebbe diventare il luogo in cui ripensare insieme la ricostruzione. La domanda è semplice e impegnativa: come mantenere questa energia condivisa quando le telecamere si spengono e resta il lavoro lento, ma decisivo, del ritorno a casa?





