Tra mappe, stelle e silenzi, un cercatore trova la sua rotta. La storia di Charles de Foucauld svela una scelta capace di sorprendere ancora oggi.
C’è un uomo che attraversa piste sconosciute con un taccuino in tasca. Annota parole, toponimi, volti. Non cerca solo una rotta: insegue un senso. Il suo passo è quello di un ufficiale e di un viaggiatore testardo. La sua curiosità lo porta oltre i confini tracciati sulle mappe. Questa è la scena iniziale della vicenda di San Charles de Foucauld, ma non è ancora il centro della storia.
Nelle notti lunghe del Maghreb, il giovane esploratore ascolta e scrive. Raccoglie canti e usi. Studia i dialetti. Tra il 1883 e il 1884 attraversa il Marocco sotto copertura, mettendo a rischio la vita per documentare un mondo quasi ignoto all’Europa. Ottiene stima e riconoscimenti, ma una domanda resta aperta: perché quella inquietudine non si placa?
Qualcosa spezza la rotta. A Parigi, nella chiesa di Saint-Augustin, Charles incontra l’abbé Huvelin. Chiede una confessione, riceve l’Eucaristia e una parola breve che cambia il suo asse interiore. Le biografie e le note del Vaticano indicano in quel momento il punto di svolta della sua vita. È qui che prende forma una scelta che non assomiglia a una fuga, ma a un ritorno.
Charles lascia privilegi e progetti. Entra tra i Trappisti, sperimenta la vita nascosta, poi serve come domestico presso le Clarisse di Nazareth. Nel 1901 viene ordinato sacerdote. Poco dopo riparte verso il deserto algerino: prima Béni Abbès, poi Tamanrasset, tra i Tuareg. La sua giornata diventa semplice e tenace: adorazione, lavoro, accoglienza. Scrive un dizionario e una grammatica tamashek, offre pane e ascolto, custodisce relazioni. La sua mistica è concreta: imitare la “vita di Nazaret” con umiltà, fraternità, prossimità. Qui si comprende il senso dell’“uomo del deserto”: non un eroe solitario, ma un vicino di casa.
Il 1° dicembre 1916, durante un’incursione armata, Charles viene ucciso a Tamanrasset. Non lascia opere spettacolari né una congregazione già strutturata. Lascia tracce: amicizie, pagine, una via semplice per diventare fratelli. La Chiesa lo ha venerato come “fratello universale”. Papa Francesco lo ha canonizzato il 15 maggio 2022; oggi la sua memoria liturgica cade proprio il 1° dicembre.
Molti lo chiamano “il santo del deserto”. Ma l’immagine migliore forse è un’altra: un uomo che ha trasformato la sete di avventura in sete di Dio, e che ha fatto della vicinanza quotidiana la sua vera “missione”. Guardando il suo cammino, viene da chiedersi: quale “Nazaret” potremmo costruire noi, qui, con i gesti piccoli che abbiamo a portata di mano?
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