Il 4 novembre la Chiesa ricorda San Carlo Borromeo, cardinale e arcivescovo di Milano, figura centrale della riforma cattolica del XVI secolo.
Nato ad Arona nel 1538 e morto a Milano nel 1584, è uno dei Santi più amati e identificativi della tradizione ambrosiana, insieme a Sant’Ambrogio. Il suo nome è legato a una stagione decisiva per la Chiesa, segnata dalla ricezione del Concilio di Trento, dalla riorganizzazione della pastorale e da una carità instancabile esercitata in tempi di carestia ed epidemie. Nonostante il titolo del nostro articolo rifletta un modo di dire diffuso, Carlo Borromeo non è un “Beato”: fu beatificato nel 1602 e canonizzato nel 1610, ed è dunque venerato come Santo.

Carlo Borromeo apparteneva a una grande famiglia lombarda e fu nipote di papa Pio IV. Entrò giovanissimo nella Curia romana e venne creato cardinale, assumendo responsabilità delicate negli anni conclusivi del Concilio di Trento. Il suo ruolo non fu solo diplomatico o di governo: contribuì a promuovere strumenti essenziali dell’età post-tridentina, come il Catechismo Romano e la riforma dei libri liturgici. Nel 1564 fu nominato arcivescovo di Milano; fece il suo ingresso in diocesi l’anno successivo e scelse sin dall’inizio uno stile di governo marcato da sobrietà, disciplina ecclesiale e prossimità alle parrocchie.
A Milano, Borromeo tradusse le linee del Concilio in prassi concreta. Convocò ripetutamente sinodi diocesani e concili provinciali per uniformare la disciplina del clero, promosse visite pastorali capillari — anche nelle valli più remote — e inaugurò i seminari, intuendone l’importanza decisiva per la formazione dei futuri sacerdoti. Riorganizzò la catechesi fondando confraternite e scuole della dottrina cristiana, coinvolgendo laici e religiosi in una rete di educazione alla fede che sarebbe diventata un modello in tutta Europa. Curò l’ordinamento delle parrocchie, la dignità della liturgia e la predicazione, con attenzione a un linguaggio chiaro, accessibile, biblicamente fondato. Difese con fermezza e intelligenza l’identità del Rito Ambrosiano, integrandolo nello spirito della riforma senza snaturarne le peculiarità.
San Borromeo, la vita del Beato
Il nome di San Borromeo resta legato in modo indelebile ai mesi drammatici della peste del 1576–1577. Mentre autorità civili e molti notabili lasciavano la città, Carlo rimase a Milano. Vendette parte dei beni, organizzò mense per i poveri, visitò i malati, coordinò l’assistenza nel Lazzaretto e nelle parrocchie. Le cronache raccontano le processioni penitenziali a piedi nudi, il cordone al collo come segno di umiltà, e le celebrazioni “alla finestra” per evitare assembramenti, soluzioni pastorali straordinarie per tempi straordinari. Fu una testimonianza che rese trasparente la sua idea di episcopato: non mera amministrazione, ma servizio, fino a condividere rischi e fatiche del popolo affidato.

Severo con se stesso e paterno con il popolo, Borromeo univa penitenza e riforma morale a una visione organizzativa moderna. Fondò gli Oblati di Sant’Ambrogio per sostenere il servizio alla diocesi, incoraggiò la vita comune del clero, rivalutò la confessione e l’adorazione eucaristica come motori della rinnovata vita cristiana. L’iconografia lo ritrae con rocchetto e mozzetta, libro e croce pastorale, talvolta con il flagello della penitenza: segni di una spiritualità concreta, mai disgiunta dalla responsabilità di governo. Il suo motto, Humilitas, eredità di famiglia e programma di vita, sintetizza un tratto riconoscibile: l’autorità esercitata come abbassamento e servizio, non come privilegio.
La riforma non fu indolore. Carlo intervenne con decisione contro abusi e rilassatezza di costumi, affrontando resistenze dure. Nel 1569 sopravvisse a un colpo d’archibugio esploso in cappella da un membro di un ordine in crisi disciplinare: ne uscì illeso, episodio che alimentò la fama di protetto dalla Provvidenza. Persistette nell’opera di rettifica, convinto che il rinnovamento della Chiesa passasse dalla conversione personale e dalla formazione seria del clero.
Carlo Borromeo morì il 3 novembre 1584, a soli 46 anni, provato dalle fatiche del ministero. Fu proclamato Beato nel 1602 e Santo nel 1610. Le sue reliquie sono venerate nello Scurolo del Duomo di Milano, meta costante di pellegrinaggi e preghiere. Ad Arona, la sua città natale, si erge il celebre “Sancarlone”, colosso in rame del Seicento che ne ricorda la statura spirituale e civile. La sua memoria liturgica ricorre il 4 novembre, quando a Milano e in molti centri della Lombardia si svolgono celebrazioni, iniziative caritative e momenti di catechesi, nel segno di una tradizione che coniuga fede, cultura e attenzione agli ultimi.
La figura di Borromeo resta attuale per vescovi e sacerdoti, ma anche per laici impegnati nella catechesi, nell’educazione e nella cura delle fragilità. Le sue “istruzioni” pastorali, l’idea di una Chiesa vicina, ben formata e organizzata, la scelta di restare accanto al popolo nelle emergenze fanno di San Carlo un riferimento oltre i confini di Milano. Nella sua Milano e nel mondo ambrosiano il 4 novembre è l’occasione per riaccendere quella parola-simbolo che lui rese programma: humilitas, la strada maestra per un’autorità che serve e per una fede che costruisce.
 




