In continuità con il cammino spirituale che, da decenni, raduna intorno a Medjugorje milioni di fedeli e simpatizzanti, il messaggio del 25 ottobre 2025 torna a porre al centro tre parole-chiave: pace, preghiera e conversione.
Temi che, nella tradizione di questi richiami mensili, rappresentano un filo rosso: dalla quotidianità familiare alle parrocchie, dalla vita interiore alla testimonianza pubblica, l’appello si traduce in un invito concreto a configurare comunità oranti, a rinnovare la fede e a far posto all’amore di Dio nelle scelte di ogni giorno.
“Cari figli! L’Altissimo, nella Sua bontà, vi ha dato me per guidarvi sulla via della pace. Molti hanno risposto e pregano ma ci sono molte creature che non hanno la pace e non hanno conosciuto il Dio d’amore. Perciò, figlioli, pregate ed amate, formate i gruppi di preghiera per esortare al bene. Io sono con voi e prego per la vostra conversione. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”
L’esordio richiama la “via della pace”, espressione che suggerisce un cammino più che un approdo: la pace non è solo assenza di conflitto, ma frutto di un’educazione alla relazione, paziente e quotidiana. Colpisce poi il riferimento al “Dio d’amore”, che sposta l’asse dalla paura o dal dovere a una fede motivata dall’incontro con un volto, una presenza che si dona. L’indicazione pratica “pregate ed amate” riassume una teologia esistenziale: la preghiera che non sfocia in carità rischia l’astrazione; l’amore senza radici spirituali rischia di esaurirsi. Qui, i due pilastri si sostengono a vicenda.
Tra le righe, il messaggio rilancia con forza la dimensione comunitaria: “formate i gruppi di preghiera per esortare al bene”. Non basta il fervore individuale; occorre un tessuto condiviso che sostenga, orienti e custodisca. Nelle città come nei piccoli paesi, i gruppi – sia nelle parrocchie sia nelle case – diventano luoghi di ascolto della Parola, di intercessione, di fraternità concreta. In un tempo segnato da solitudini diffuse e da frammentazioni sociali, ritrovarsi in modo semplice e stabile può generare prossimità: un Rosario attorno a un tavolo, un’adorazione settimanale, una lectio comunitaria. La proposta è tanto antica quanto attuale: la fede cresce condividendosi.
Il richiamo a “molte creature che non hanno la pace” intercetta la cronaca del nostro tempo: le tensioni internazionali, le polarizzazioni culturali, le ferite personali che spesso restano invisibili. L’esortazione non si limita alla diagnosi, ma offre una terapia accessibile a tutti: la preghiera perseverante e l’amore fattivo. È una grammatica semplice, ma esigente, che chiede fedeltà al quotidiano: perdonare, ricucire legami familiari, spendersi per chi è ai margini, custodire la lingua dall’odio, trasformare il lavoro in servizio.
Il cuore pastorale del testo si concentra sulla promessa di vicinanza e sull’intercessione: “Io sono con voi e prego per la vostra conversione.” Qui la conversione non appare come rimprovero, ma come processo gioioso e progressivo. Non un evento isolato, ma una traiettoria che riguarda mente, cuore e gesti. La conversione, così intesa, implica anche intelligenza critica: saper distinguere ciò che costruisce pace da ciò che la corrode; scegliere linguaggi che non feriscano; restituire centralità al silenzio e alla contemplazione in un’epoca sovraccarica di rumori.
Chi conosce i testi legati a Medjugorje ritrova qui un lessico familiare: “Cari figli”, “pace”, “pregate”, “grazie per aver risposto”. Non si tratta, tuttavia, di ripetizioni formali: la forza sta nell’attualità concreta che ogni generazione è chiamata a interpretare. In famiglia, questo può tradursi nel dedicare un tempo fisso alla preghiera comune; nelle comunità, nel promuovere percorsi semplici e accessibili; nel lavoro, nel rifiutare logiche di prevaricazione in favore della collaborazione; nella società, nel far crescere una cultura dell’incontro.
Il ringraziamento finale – “Grazie per aver risposto alla mia chiamata” – suona come un incoraggiamento: nonostante fragilità e cadute, la risposta è possibile. È un invito a non cedere allo scoraggiamento e a riaccendere, insieme, la piccola luce della pace là dove la storia ci ha posti.
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