Nicola Legrottaglie racconta ancora una volta la sua conversione: ecco che cosa è scattato nella mente del calciatore e cosa ha vissuto in quel periodo.
Il racconto pubblico della conversione di Nicola Legrottaglie, ex difensore di Juventus e Nazionale, è tornato al centro dell’attenzione quando, sul palco del Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona nel 2019, ha descritto la sua svolta interiore: una cesura netta con il passato, l’adesione convinta alla fede cristiana evangelica e una nuova bussola etica per la propria vita.
Al di là delle polemiche che sempre accompagnano temi sensibili come famiglia, sessualità e modelli di comportamento, il caso Legrottaglie racconta una metamorfosi che ha radici profonde nella biografia di un atleta abituato a convivere con pressioni, cadute e rinascite.

Nato a Gioia del Colle nel 1976, Legrottaglie si è imposto all’inizio degli anni Duemila con il Chievo dei miracoli, la squadra che ha sfidato la geografia del potere calcistico arrivando nella parte alta della Serie A a suon di organizzazione, coraggio e compattezza. Centrale elegante, abile nel gioco aereo e nella lettura preventiva, si è guadagnato il salto nella Juventus, dove però ha vissuto un percorso a strappi: le aspettative erano altissime, i prestiti per ritrovarsi numerosi. Dopo stagioni alterne, la sua seconda vita in bianconero è arrivata più avanti, quando, sotto la guida di tecnici diversi, ha saputo dare affidabilità alla retroguardia e rientrare nel giro azzurro con diverse presenze in Nazionale. Una breve parentesi al Milan e il finale di carriera al Catania hanno chiuso un viaggio professionale che lo ha visto calcare i palcoscenici più esigenti della Serie A, conoscendo tanto l’euforia del picco quanto la solitudine del dubbio.
Sul palco di Verona, Legrottaglie ha descritto la sua giovinezza da calciatore come un crescendo di successi e riconoscimenti che, però, non placavano un’inquietudine di fondo. La “scintilla” – per usare le sue parole di allora – non è stata un lampo isolato, ma un processo: il confronto con un senso di vuoto nonostante la carriera, la lettura della Bibbia, il dialogo con una comunità di credenti, la decisione di rivedere abitudini, relazioni e priorità. L’ex difensore ha spiegato di aver cambiato stile di vita, di aver scelto sobrietà e disciplina, e di aver posto al centro una fede vissuta come relazione personale e quotidiana, non come etichetta.
Cosa è scattato davvero per Nicola Legrottaglie?
La dinamica ricorrente nelle biografie degli sportivi che scoprono o riscoprono la fede è un cortocircuito fra identità e risultato. Vivi per la prova della domenica, misuri te stesso in base a un errore o a un gol salvato, e il giudizio esterno diventa la tua unica metrica. Nel racconto di Legrottaglie, il “clic” è stato lo spostamento del baricentro: dal bisogno di approvazione alla ricerca di un senso stabile, dalla prestazione alla persona. Gli strumenti pratici sono stati semplici e ripetuti: preghiera, lettura, accompagnamento comunitario, e la scelta di coerenza su temi che sapeva avrebbero fatto discutere. Non un’improvvisa perfezione, ma un lavoro di cesello sulle abitudini, giorno dopo giorno.

Il suo parlare esplicito di fede e di morale personale, in particolare in contesti pubblici come il Congresso di Verona, ha diviso l’opinione pubblica. C’è chi lo ha applaudito come esempio di coerenza controcorrente e chi lo ha criticato per posizioni considerate rigide o normative. Legrottaglie, dal canto suo, ha difeso l’idea di una testimonianza personale, assumendosi il peso delle conseguenze mediatiche. Nel tempo ha raccontato la sua esperienza anche in libri e incontri, facendosi ponte tra spogliatoio e società civile e spiegando che la sua “conversione” è stata un’opera di sottrazione: togliere il superfluo per tenere il necessario.
Sul piano tecnico, Legrottaglie è stato un difensore capace di alternare fisicità e lettura del gioco, di adattarsi a sistemi diversi e di vivere più vite nello stesso club. Questa resilienza l’ha poi trasferita fuori dal campo, intraprendendo il percorso da allenatore e formatore, soprattutto in ambito giovanile, dove ha cercato di coniugare metodo e dimensione valoriale. Nelle sue squadre, ha raccontato, l’attenzione alla persona precede quella al rendimento: se l’atleta sta bene come individuo, il giocatore rende di più.
La storia di Legrottaglie s’inserisce in una tradizione non frequente ma presente nel calcio italiano: quella di atleti che portano pubblicamente il tema della fede, assumendosene responsabilità e critiche. Nel suo caso, la centralità del racconto non è la vittoria o la sconfitta, ma l’idea che il talento, per fiorire, abbia bisogno di una radice. È questo che dice sia “scattato”: la comprensione che senza una direzione interiore anche la carriera più fulgida rischia di restare una superficie brillante. In un ambiente dove l’immagine spesso precede il contenuto, la sua voce – concordi o no – ha riportato la discussione su una dimensione esistenziale. E ha aggiunto un capitolo particolare alla biografia di un difensore che, dopo aver imparato a marcare gli attaccanti, ha deciso di marcare soprattutto se stesso.
 
 




