“I poveri sono patrimonio della Chiesa e dobbiamo farci evangelizzare da loro”. Questa affermazione, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, non rappresenta solo uno slogan, ma indica una direzione di marcia e una nuova prospettiva attraverso cui osservare la città, la fede e la politica.
Dietro all’apparenza del mondo si nasconde un’esperienza tangibile che da anni lega il Vangelo alle realtà marginali, mostrando una Chiesa che, seguendo gli insegnamenti di papa Francesco, aspira a essere “povera per i poveri” e impara a rinnovarsi attraverso l’ascolto.
Nel cuore di Roma, tra banchi di legno e candele accese, emergono storie di persone spesso ignorate dai media: anziani soli, famiglie in difficoltà, senza tetto che trovano in una chiesa non solo un rifugio, ma anche un luogo dove essere chiamati per nome.
La liturgia diventa un momento di intimità che permette di riconoscere il volto di Cristo nel mondo. La povertà, in questo contesto, rivela non solo mancanze ma anche risorse inaspettate come resilienza e gratitudine. Volontari e membri della Comunità di Sant’Egidio si dedicano a gesti di cura e attenzione, costruendo un tessuto sociale resiliente.
Il primo passo per comprendere questa realtà è abbandonare l’illusione di un approccio efficientista alla povertà, riconoscendo che l’assistenza deve trasformarsi in relazione. “Farsi evangelizzare” dai poveri significa accogliere una prospettiva diversa, dove le priorità vengono ridefinite e il superfluo eliminato. Questo approccio non solo restituisce dignità ma costruisce anche legami solidali.
Il secondo passo riguarda l’impegno civico e politico per garantire diritti fondamentali come casa, salute, istruzione e lavoro. L’esperienza dei corridoi umanitari e delle politiche di housing first dimostra come la cooperazione tra istituzioni e società civile possa generare soluzioni efficaci e umane, riducendo i costi sociali e costruendo un futuro migliore.
Il terzo passo è ecclesiale: riconoscere i poveri come “patrimonio” della Chiesa significa vederli non come destinatari passivi, ma come maestri. Questo cambia radicalmente la liturgia, la catechesi e la vita comunitaria, rendendo la fede più autentica e incarnata.
Infine, il passaggio culturale: le storie e gli incontri con i poveri offrono una visione di società basata sulla dignità piuttosto che sul possesso. I poveri, come “patrimonio della Chiesa”, fungono da memoria viva, ricordandoci che ogni persona è un bene comune e che una città diventa veramente casa quando nessuno è escluso. Attraverso gesti semplici ma profondi, si può costruire una comunità più paziente, tenace e capace di trasformare la realtà quotidiana.
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