La preghiera da Lourdes di Don Vincenzo Catani, la ricerca della pace

Dal santuario mariano dei malati e della speranza, un appello che attraversa ferite e desideri, fino a toccare le nostre città. La grotta di Massabielle, cuore pulsante di Lourdes, torna a essere luogo di ascolto, silenzio e invocazione: qui la pace smette di essere una parola astratta e diventa domanda concreta, affidata a Maria, Madre della consolazione.

Nella cornice dei pellegrinaggi diocesani, Don Vincenzo Catani richiama all’essenziale: pregare non significa sottrarsi alla storia, ma abitarla con il coraggio mite di chi cerca il bene oltre l’istante.

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La preghiera da Lourdes di Don Vincenzo Catani, la ricerca della pace (camminoneocatecumenale.it)

Lourdes è un alfabeto di gesti: l’acqua che scorre, le candele che punteggiano la notte, i rosari sgranati in tante lingue, le mani che spingono le carrozzine, i volontari che si piegano sulle fragilità. In questo linguaggio universale, la preghiera per la pace fa memoria delle lacrime del mondo e, insieme, ne intercetta i germi di rinascita. Ogni sera, nella processione aux flambeaux, la luce dei fedeli disegna un cammino comune: non illumina solo il santuario, ma suggerisce la direzione a chi, nelle parrocchie e nei quartieri, prova a tessere relazioni nuove.

Nelle riflessioni proposte ai pellegrini, Don Vincenzo Catani insiste su una prospettiva concreta: la pace inizia dai margini, dagli esclusi, dal tempo restituito all’ascolto, dalle parole scelte con cura. È una responsabilità che non delega, che passa per il dialogo nelle famiglie, per la custodia delle amicizie, per la capacità di perdonare e ricominciare. A Lourdes, le intenzioni raccolgono i nomi dei luoghi feriti dalla violenza, dei profughi in cammino, dei malati che chiedono sollievo, degli operatori della sanità e del volontariato che spendono le loro energie in silenzio. La preghiera è ponte tra storie che non si conoscono ma si riconoscono, e diventa promessa di prossimità quando si trasforma in gesti.

Un pellegrinaggio non è un’evasione, ma un esercizio di sguardo. Qui, chi è forte impara la misura del proprio limite e chi è fragile offre l’alfabeto della resistenza quotidiana. Le Hospitalités e i tanti giovani impegnati accanto ai malati mostrano la grammatica della tenerezza: servire senza apparire, accompagnare senza trattenere, imparare a camminare al ritmo dell’altro. In questo intreccio, la pace non è un traguardo lontano ma una pratica ordinaria che inizia da un “posso aiutarti?” detto bene, da una litigata ricucita, da una porta lasciata aperta al dialogo.

Il rosario, scuola di pace

Tra il mormorio dell’acqua e il fruscio delle foglie, il rosario scandisce una pedagogia lenta. Mistero dopo mistero, si attraversano nascita, ferite, morte e vita: la trama stessa dell’esistenza. Lourdes ricorda che non c’è pace senza memoria e senza giustizia, e che non c’è giustizia senza compassione. La ripetizione delle Ave Maria non è fuga ma scavo: leviga la durezza, educa all’attesa, restituisce alle parole la loro misura umana. È in questa scuola che maturano cittadini capaci di mediazione, credenti e non credenti uniti dal desiderio di futuro.

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Il rosario, scuola di pace (camminoneocatecumenale.it)

Una preghiera che resta alla Grotta si esaurisce in un’emozione; una preghiera che riparte nelle valigie dei pellegrini si fa fermento civile. Portare Lourdes in diocesi significa rinforzare i centri di ascolto, sostenere le famiglie provate, investire in educazione, promuovere legalità e cura del creato, aprire varchi di incontro tra culture e fedi diverse. Significa trasformare le nostre chiese in cantieri di pace: porte aperte, tavoli di confronto, laboratori per i giovani dove imparare il discernimento critico in tempi attraversati da fake news e polarizzazioni.

La pace non è un evento spettacolare ma un artigianato paziente. Richiede la dedizione dei piccoli passi e la lucidità di chiamare per nome le ingiustizie. Lourdes educa a tenere insieme guarigione e responsabilità: pregare perché cessi la guerra, sostenere chi costruisce corridoi umanitari, chiedere ai decisori pubblici politiche che mettano al centro le persone, accompagnare chi è rimasto indietro senza paternalismi. È un equilibrio difficile, ma praticabile, se ciascuno sceglie di disinnescare l’ostilità nei luoghi che abita.

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